Diritto alla bigenitorialità e genitori detenuti: alla ricerca di un contenuto per l’interesse superiore del minore.

08 gennaio 2018

La nozione di bigenitorialità o genitorialità condivisa, è l’espressione di un principio ben radicato all’interno di molti ordinamenti europei; in particolare nell’ordinamento italiano, la legge n.54 del 2006 ha dato espressione a tale principio prevedendo all’interno dell’articolo 337 ter del c.c. che: “il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i propri parenti di ciascun ramo genitoriale”.

Quando parliamo di bigenitorialità, dovremmo innanzitutto comprendere, la complessità e la vastità di ciò che definiamo genitorialità e analizzare le sue funzioni o meglio i suoi modi di esprimersi. In modo semplicistico e sintetico potremmo indicare alcune funzioni della stessa, e cioè: funzione protettiva, affettiva, regolativa, normativa, predittiva, rappresentativa, significante, fantasmatica, proiettiva, differenziale, triadica, transgenerazionale.La bigenitorialità, però, viene data troppo spesso per scontata all’interno delle famiglie tradizionali, in cui cioè i genitori coabitano unitamente ai figli nati dalla loro unione prendendosi cura degli stessi in maniera paritetica. Ciò tuttavia, quasi mai corrisponde a quanto si verifica quotidianamente in moltissime famiglie italiane, ove la realtà dei fatti, legata al lavoro e alla gestione della routine familiare, vedono troppo spesso delegare a uno solo dei genitori la cura del minore.

La bigenitorialità pertanto, a tutt'oggi rimane quasi del tutto inapplicata nel suo significato più profondo e senza sufficienti tutele per il rispetto del suo stesso principio fondamentale - riconosciuto ormai da tempo - ovvero il legittimo diritto dei figli a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori(Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo 1989), circostanza che si verifica in maniera ancora più evidente nel caso in cui ci si trovi di fronte ad uno stato detentivo di uno dei genitori, e cioè in una ipotesi di genitorialità deviata,la quale si discosta da ciò che è ritenuto normale e tende ad avere effetti negativi su entrambe le parti del rapporto. Differenze notevoli, si evidenziano, poi, a seconda che ad essere ristretto sia il padre o la madre. Infatti, nel nostro ordinamento è presente un’evidente e stridente disparità di trattamento, costituzionalmente illegittima, basata sul sesso del genitore condannato detenuto o cautelarmente ristretto, a danno dell’interesse dei figli minori.

I profili di illegittimità riguardano la violazione del principio di eguaglianza tra lo status di detenuto padre e quello di detenuta madre. In particolare, ad esempio, riguardo al padre ristretto in custodia cautelare, l’art. 275 c.p.p., comma 4, così statuisce: “Quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, non può essere disposta né mantenuta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza (…)”.Tale norma, non può considerarsi quale privilegio alla madre rispetto al padre, configurandosi, al contrario, come una netta esclusione del padre rispetto a benefici che non sono previsti a favore dello stesso, bensì nell’interesse del minore, come da espressa ratio della disposizione citata. L’incostituzionalità manifesta di tale discriminazione è, inoltre, tanto più evidente se si pensi anche alle importanti riforme che il nostro legislatore ha apportato in materia di diritto di famiglia e non solo, che hanno portato a una completa equiparazione dei genitori a tutela dello sviluppo del minore.I padri detenuti,dunque,sperimentano grosse difficoltà e profonda angoscia nell’esercizio della funzione genitoriale oltre le sbarre, vivendo una doppia distanza: quella fisica, dovuta all’allontanamento dal nucleo familiare e quella affettiva, connessa all’impossibilità di esercitare una funzione educativa e di condividere gli affetti nella quotidianità; ciò si ripercuote inevitabilmente sul diritto del figlio alla “presenza” paterna.È evidente, alla luce di quanto esposto, che quello della genitorialità in carcere è un tema poliedrico, che include aspetti di diversa natura e rilevanza che richiedono di essere indagati nella loro intricata trama relazionale: il profilo normativo e l’assetto istituzionale e politico, i fattori di tipo strutturale, organizzativo, ambientale, sociale, culturale, professionale, e non da ultimo, psicologico. Tuttavia, al centro di tutto ciò, deve essere necessariamente posto il minore, che troppo spesso in queste vicende, rimane sulla scena in maniera del tuttomarginale, necessitando invece di una attenzione primaria.Difatti, i vari interventi legislativi che sono stati realizzati e che tutt’ora sono alla discussione su tale tema, sono volti alla effettiva e concreta possibilità di realizzazione della bigenitorialità per i genitori detenuti,affinchè gli stessi possano conservare e migliorare le relazioni con i propri familiari e rimuovere le difficoltà che possono ostacolare il reinserimento sociale, e ciò anche attraverso la realizzazione di diversi progetti da svolgere e sviluppare all’interno delle carceri, anche tramite l’aiuto di enti pubblici e privati qualificati nell'assistenza sociale e a ciò preposti.

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